Il rapporto “Adult Learning in Italy: what role for Training Funds?” pubblicato dall’Ocse è chiaro: «Con l’introduzione delle nuove tecnologie digitali, se il 15,2% dei posti di lavoro potrebbe essere completamente automatizzato, un altro 35,5% verrà profondamente trasformato rispetto alle mansioni che i lavoratori vi svolgeranno».

In questo panorama, i dipendenti delle aziende italiane per continuare a lavorare o per trovare nuovi posti di lavoro, dovranno aggiornare le proprie competenze professionali nell’intero arco della propria vita lavorativa.
Ad oggi, però, solo il 20% dei dipendenti italiani si forma sul lavoro.

Il dato risulta sconcertante, se consideriamo che questa quota rappresenta la metà rispetto alla media OCSE e che la categoria che più necessiterebbe di formazione continua, cioè quella con basse competenze fa scendere vertiginosamente il dato al 9,5%.

Di fondamentale importanza risulta, in questo contesto, l’opportunità offerta dai Fondi Paritetici Interprofessionali: organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle Parti Sociali attraverso specifici Accordi Interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Le aziende, aderendo ad uno dei 19 Fondi attivi in modo completamente gratuito, hanno la possibilità di usufruire della quota dello 0,30% dei contributi previdenziali obbligatori versati all’INPS, per il finanziamento di iniziative pubbliche di formazione e aggiornamento dei lavoratori.

Sottolinea l’Ocse, purtroppo «i Fondi sono ancora poco noti in Italia, cosa che denota una insufficiente cultura della formazione e una bassa domanda di competenze, soprattutto tra le Pmi».
Formare le professionalità vuol dire credere nella competitività della propria azienda e dell’intero Paese.